Chi si rivolge allo psicologo o allo psicoterapeuta, sente generalmente il bisogno di comunicare la propria sofferenza, che si esprime attraverso sintomi quali ansia, depressione, attacchi di panico, fobie, ossessioni, disagio nelle relazioni, disturbi sessuali...
E generalmente chiede di essere ascoltato e aiutato a risolvere quella sofferenza: a liberarsi quindi, di quei sintomi.
I momenti di crisi, il più delle volte, coincidono con fasi particolari del ciclo di vita (individuale e familiare) che comportano un importante cambiamento nella vita dei singoli individui e delle famiglia in generale: per esempio la nascita di un figlio, cambiamenti in ambito lavorativo, l'adolescenza dei figli, e così via.
Dopo una prima consulenza psicologica, se lo psicoterapeuta comprende la necessità e l'opportunità di lavorare con la persona, fa una proposta di intervento in cui si concordano gli obiettivi del percorso e spiega le modalità con cui intende portare avanti la terapia. La persona accetta di intraprendere il percorso, se sente tra l'altro, di potersi affidare a quel professionista.
E poi cosa succede? In base agli accordi, verranno fissati appuntamenti settimanali o quindicinali e durante i colloqui (generalmente di 50-60 minuti), si approfondirà dapprima la conoscenza del cliente e quindi si lavorerà sul malessere che la persona porta, con modalità differenti in base all'orientamento del terapeuta.
Non esiste infatti una psicoterapia, ma si potrebbe sostenere, tante psicoterapie quanti sono gli psicoterapeuti, i quali a loro volta, dovrebbero condurre tanti diversi percorsi quanti sono i clienti con cui lavorano. Prendiamo ad esempio una persona che soffre di attacchi di panico.
Ci saranno terapeuti che proporranno di eliminarli in quanto compromettenti la quotidianità della persona e altri che ne vedranno il senso per quella persona, in quel particolare momento della sua vita. Nell'uno e nell'altro caso (per riportare due modalità generiche diverse tra loro), dovrà essere comunque posta attenzione al cliente, al modo con cui risponderà alle tecniche messe in campo e soprattutto agli scopi che si prefigge. Ci sono infatti clienti che vogliono liberarsi quanto prima di ciò che li fa soffrire e altri che vogliono dare un senso ai propri sintomi, perché percepiti come manifestazione di un disagio e non come il problema alla base della propria sofferenza.
Io propongo questo secondo scopo, perché ritengo gli attacchi di panico, come gli altri disturbi, difese con le quali le persone evitano di mettersi in contatto con il proprio dolore profondo, ciò che spesso in maniera impropria, viene definito "depressione". Ritengo, anche in base al modello terapeutico proposto dalla Psicosintesi, che ogni essere umano sia unico e manifesti di sé solo una parte di ciò che è, in base alle rappresentazioni con cui si definisce. La psicoterapia, a mio vedere, aiuta a conoscere ciò che di sé non si è ancora manifestato per paura, sensi di colpa, vergogna, limitazioni del pensiero ("ereditate" dalla famiglia di origine o più ampiamente dalla società e dalla cultura a cui si appartiene).
Un percorso psicoterapico quindi, è occasione di conoscenza e comprensione dei propri meccanismi (spesso disfunzionali), con i quali gli individui vivono (o sopravvivono) e possibilità di mutare quei meccanismi che si esprimono con sintomi ansiosi (attacchi di panico, fobie, ossessioni...), depressivi (tristezza, mancanza di desiderio e voglia di fare...), relazionali (difficoltà a comunicare, disagio emotivo nella coppia, senso di solitudine...), sessuali (impotenza, dolore o impossibilità ad avere rapporti fisici...).
Per tornare all'esempio sugli attacchi di panico: questi possono essere definiti come la manifestazione di un'angoscia profonda non altrimenti comunicabile. Pur di non contattare quell'angoscia (o paura) profonda, la persona esprime il suo dolore con i sintomi (fisici, psicologici e mentali) dell'attacco di panico: palpitazioni, tachicardia, sudorazione, sensazione di soffocamento, nausea, svenimento...; depersonalizzazione (sensazione di essere staccati dal proprio corpo), paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire...; derealizzazione (sensazione di irrealtà)... Ma non li esprime a caso o in situazioni qualunque: il luogo e il tempo in cui si manifesta l'attacco di panico danno senso a quella manifestazione. Comprendere il significato che gli attacchi di panico hanno per la persona, significa conoscere le proprie difese psichiche e ciò da cui ci si difende, per conoscere come si funziona e come si potrebbero meglio mettere in moto le proprie qualità e attitudini.
Certamente, lo scopo ultimo della psicoterapia, anche quella che si fonda sulle teorie e la pratica psicosintetiche, è il benessere della persona: ma per benessere non ci si limita a considerare l'assenza di sintomi, ma la volontà a raggiungere un equilibrio tra i vari aspetti di sé, che includono carenze, difficoltà, "difetti", ma anche potenzialità, capacità, "pregi".
Gli attacchi di panico (come gli altri sintomi), non hanno più ragione di esserci perché possono essere sostituiti con pensieri, atteggiamenti, azioni, più funzionali al benessere della persona.
Dott.ssa Claudia Galli
Psicologa Psicoterapeuta - Carpi (MO) e Modena (MO)